mercoledì 15 luglio 2009

"Critica Marxista"

Rosalinda Renda, Critica Marxista, 1, 2009

Il libro di Jan Rehmann – I nietzscheani di sinistra. Deleuze, Foucault e il postmodernismo: una decostruzione, a cura di S. Azzarà,Roma, Odradek, 2009, pp. 235 – si colloca nel solco della critica marxista dell’ideologia e della lotta teorica contro l’egemonia culturale borghese. Rehmann pone in atto la sua strategia decostruttiva della Nietzsche-Renaissance, confrontandosi con quanto di meglio la riflessione filosofica ha prodotto sull’argomento negli ultimi quarant’anni. Oggetto della sua critica è il nietzscheanesimo di sinistra, affermatosinel corso degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto a opera dei suoi più autorevoli maitres à penser: G. Deleuze e M. Foucault.Entrambi vengono inquadrati dall’autore nella più ampia costellazione del postmodernismo, inteso nell’accezione datane da J. F. Lyotard nel 1979, secondo il quale la fine della Modernità segna l’eclisse della soggettività autonoma, la crisi della teleologia storica, il tramonto irreversibile delle metanarrazioni quali il marxismo e la psicoanalisi.In questa prospettiva l’intera modernità, secondo Rehmann, è ridotta a un unico blocco, privo di differenziazioni e opposizioni interne, che occulta ad esempio i caratteri emancipatori della ragione illuministica riducendoli alla dimensione unilaterale della ragione borghese. Il modello con il quale viene liquidata la dialettica dell’Illuminismo è desunto dallacritica della modernità di Nietzsche.Tale operazione risale al testo di Deleuze Nietzsche e la filosofia del 1962 che, per Rehmann, è fondamentalmente «una resa dei conti con la dialettica» (p. 37) di origine hegeliana. Il principio teorico del negativo, che nella dialettica appare come opposizione e contraddizione, sarebbe in realtà una falsa differenza, uno strumento del positivo che alla fine si affermerebbe quale ricomposizione della scissione dell’identità originaria.A tale presunto esito monolitico della ragione dialettica, Deleuze contrappone il pluralismo delle forze e la differenziazione dei valori derivanti dalla volontà (di potenza) che intende affermarsi come differenza, secondo la sua interpretazione del pensiero diNietzsche. Il criterio della differenziazione delle forze (la loro quantità e la loro qualità) è dato dalle coppie oppositive alto e basso, nobile e vile, attivo e reattivo. Questo «essenziale pluralismo» è, per Deleuze, «l’unico garante della libertà dello spirito concreto» (p. 37) diametralmente opposto al totalitarismo della dialettica.Contro questa lettura di Nietzsche in chiave ribellistica e libertaria,Rehmann solleva essenzialmente due rilievi critici: 1) la riduzione della dialettica alla sola dialettica hegeliana, trascurando, in tal modo, l’apporto marxiano, nei termini del suo rovesciamento materialistico. La dialettica di Marx non contempla alcuna identità originaria da ricostituire, ma si radica, all’opposto, nell’auto-dissociazione del mondo storico-concreto col fine del suo superamento rivoluzionario; 2) la rimozione, daparte di Deleuze, dell’origine della morale e della differenza dei valori che Nietzsche individua chiaramente in quel «pathos della distanza», che sta a fondamento del dominio di classe dell’aristocrazia antica sulla massa degli schiavi. Deleuze trasforma in forze attive e forze reattive le coppie nobile-ignobile, alto-basso, che in Nietzsche esprimono, rispettivamente,il carattere affermativo dei forti e il carattere negativo dei deboli chesarebbe ispirato dal ressentiment e dallo spirito di vendetta. È paradossale, afferma Rehmann, che i termini differenza e pluralità, destinati ad ottenere grande successo presso buona parte dell’intellettualità post-sessantottesca, siano stati tratti «dal progetto didominio esplicitamente antidemocratico di Nietzsche» (p. 54).L’occultamento del lato sgradevole di Nietzsche e la deformazione del suo pensiero, per piegarlo alla propria costruzione teorica, caratterizzano anche l’interpretazione di Foucault dalle opere degli anni Sessanta fino ai Corsi al College de France degli anni Settanta. Per Rehmann, lo scopo precipuo di Foucault era quello di accattivarsi le simpatie del movimentopostsessantottino, legando il pensiero nietzscheano alle tematiche allora in voga, ad esempio sottolineando come Nietzsche derivi la sfera morale da ciò che è basso, legato al corpo, quotidiano. Come in Deleuze, l’opera di stravolgimento del pensiero nietzscheano si fonda su delle omissioni: ad esempio Foucault tace completamente sulla circostanza che la critica anti-ideologica e anti-metafisica del Nietzsche della fase illuminista subisca, dopo lo Zarathustra, una «spinta alla verticalizzazione gerarchica» che promuove il dominio in maniera radicale (pp.138-141).Sulla base di queste premesse Foucault sviluppa negli anni Settanta la sua teoria del sapere-potere, derivante dal prospettivismo nietzscheano, volta alla demolizione della critica dell’ideologia di matrice marxiana.Rehmann dedica quasi metà del suo lavoro alla confutazione diquesta operazione. È la parte più complessa e stimolante del libro, sia per la critica dettagliata e puntuale dei testi, sia perché, nel fornire nuovi spunti interpretativi all’analisi del postmoderno, riempie un vuoto e un ritardo della critica marxista. A parere di Rehmann, le categorie formazioni discorsive, potere reticolare, dispositivi disciplinari sono ideate da Foucault senza riferimento alla struttura sociale, per cui glistessi mutamenti e l’evoluzione storica delle forme di potere nontrovano alcuna plausibile spiegazione. Il nietzscheanesimo di Foucaultconsiste principalmente, per Rehmann, «nella sostituzione della critica dell’ideologia» basata sul materialismo storico «con una critica finzionalistica della verità», fondata sul prospettivismo nietzscheano, e «nella costruzione di un concetto di potere» (p. 116) posto come fondamento ontologico dei rapporti sociali.

Nessun commento:

Posta un commento